In bicicletta nel salotto
Sono fermo, con lo sguardo fisso, davanti all’oggetto sullo scaffale del grande magazzino. Un tale, senza particolari attributi se non l’essere parte della massa acquirente, mi scruta e si chiede cos’abbia io da starlo tanto a guardare quell’oggetto, invece di prenderlo e portarlo via. Ignora, il poveretto, che è in corso una vivace conversazione.
Lui (l’oggetto): ciaaaooo, amico… come staaaiii? Io: scusa; ci conosciamo?
L: ma certo che mi conosci: io sono il tuo desiderio, il tuo utile, il tuo bello, il tuo superfluo. Il tuo godimento fatuo. Anche io ti conosco benissimo… I: ma che dici? Se è la prima volta che ci vediamo.
L: vero, ma chi mi ha messo qui, in questa posizione, a quest’altezza, in mezzo a queste altre cose ti ha studiato a fondo. Per cui, dai, non la facciamo lunga: prendimi e portami alla cassa. I: ehi… ciccio… vacci piano… non funziona così. Almeno non per me.
L: ok, non ti alterare. Forse siamo partiti col piede sbagliato. Volevo dire che… insomma… se sei venuto fino a me sarà pure per acquistarmi. Tutto qui. I: mmmmh… sì e no. A dire il vero ero venuto per cercare due viti… va bene, anche per evadere un po’. Poi ti ho visto e…
L: ...e? I: …e mi hai incuriosito. Sì, forse anche piaciuto, ma poi ho pensato che, in effetti, non mi servi.
L: ‘non mi servi’… quante filosofie… non c’è nulla che non serva un po’ in una casa. E poi non è questo il punto. I: ah, no? E quale sarebbe il punto?
L: il punto è che si compra anche per la soddisfazione. Riflettici: l’acquisto è un momento in cui si pensa a se stessi, ci si gratifica. È un momento magico, si prova un senso di potere e poi c’è il rito: l’impacchettamento, lo spacchettamento, l’odore di nuovo, l’uso per la prima volta. Non senti quanto tutto questo sa di amore e di intimità? I: sì, ho provato molte volte questa sensazione, ma poi finisce.
L: e che sarà. Basta ricominciare di nuovo. Non è mica difficile. È la cosa più facile del mondo e non si fa male a nessuno: l’economia gira e la vita continua. Una vita di piccole, continue soddisfazioni e... dai, prendimi. Io… io ti amo… I: ma smettila, non mi convinci. Io lo so come va a finire: ti prendo, ti porto a casa, ti uso magari una, due volte e poi, per tutto il tempo, mi resti in mezzo ai piedi.
L: e allora? Anche se fosse? Non hai forse voluto una casa grande per poterla riempire? Per non essere solo con tutto quello spazio? Non senti quanto è ingombrante lo spazio, con tutte quelle cubità vuote che ti guardano e ti accusano? Non ti viene l’angoscia? I: se proprio lo vuoi sapere, no.
L: sei proprio strano. E, allora, tutta questa gente? Non vedi che anche quel signore ti sta guardando e sta pensando male? I: non mi interessa. Io ho i miei novanta metri quadri calpestabili e voglio calpestarli tutti.
L: va bene, ma dove lo metti il bello, l’arredamento, lo stile armonioso, l’atmosfera, il senso dell’abitare..? I: abitare. In realtà finisce che sei tu ad abitare la casa mentre io divento l’ospite. Ci sono già capitato con l’ultimo trasloco. È allora che ho capito…
L: ma capito cosa? I: che in realtà eri tu che cambiavi casa. Io cambiavo solo prigione.
L: mi stai offendendo. Io sono anche lavoro e creatività. Io sono succo di umanità. Bada a come parli. I: no, tu sei altro.
L: e cioè? I: tu sei materia inerte, venuta fuori a forza da una miniera o da una foresta, cavata da mani magari sfruttate, e poi diventato quello che sei, in cerca un posto comodo, in attesa di diventare, prima o poi, immondizia.
L: ah… è così che mi vedi? Stupido pezzente, depresso e deprimente, sparagnino e minimalista. Ma tortatene alla tua tristezza e ai tuoi metri quadrati calpestabili tanto, meglio di te, ne trovo mille, anzi uno si sta già avvicinando… ciaaaooo, amico… come staaaiii?
Ora la conversazione è finita: ci siamo chiariti. Mi allontano dal bancone e mi avvio alla cassa con le mie due viti. In tasca ho ancora tutti i soldi.
Già, i soldi, che, ora mi rendo conto, senza acquisti sono solo carta. Altra materia inerte ed elaborata. Cosa me ne faccio, senza nessuna confezione da scartare?
Torno nella mia casa vuota ed essenziale e, sì, probabilmente triste. Ma, in fondo, volevo solo sfuggire alla condanna, senza pena alternativa, del lavorare-consumare-lavorare.
E mentre faccio un giro in bicicletta nel salotto sgombro, penso all’oggetto, al supermercato e ai soldi.
Possibile che non ci sia di meglio da vedere, da immaginare e da fare in questo mondo così meraviglioso?
Giancarlo Cascini
Bella riflessione