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Vale la penna

L'ULTIMO CAPODANNO DEL MONDO

Guardavamo le lancette, aggrappati a certe bottiglie e tante speranze ce le eravamo fumate da un pezzo, attaccate alla scia di stelle cadenti e disobbedienti ai desideri. "E' solo un altro capodanno, alfa e omega di un altro bel niente", disse lo Sceicco.

Lo chiamavamo così perchè era giordano, figlio di altri confini e di altri comandamenti. Aveva visto stelle che a noi sono negate e respirato sabbia più antica della stessa aria.

E deserti veri ne aveva anche visti, prima di venire nel nostro a fondere metallo per quattro lire, un piatto di minestra e una stamberga.

"Yussuf", dissi io, "avete inventato lo zero, ma non vi siete più schiodati da lì. La vita è fatta di addizioni e zerovirgola, abbi fede".

Dicevo così per dire: io stesso non mi aspettavo granchè da un nuovo anno che ancor prima di nascere era già vecchio di delusioni, promesse a vuoto e polvere da sparo. E anche le fedi erano diverse: lui era un musulmano non osservante e lo capivi dal fatto che stava per stappare la bottiglia da cui, come sempre, avrebbe bevuto per primo e a canna. "Allah, da questa parte del Mediterraneo, non vede e non sente", disse lui: e indicava col dito la Mecca. "Da quella parte ci sono le Alpi", dissi io: e ridevamo ancora come pazzi mentre restavano tre minuti scarsi alla mezzanotte e si cazzeggiava amari su un futuro uguale a quello di ieri quando partì il conto alla rovescia.


"Dieci, nove…", e saliva l'allegria presunta di uno qualsiasi dei nostri anni senza capo e senza coda.

"Otto, sette, sei..." e le mani svitavano frenetiche i tappi, un po' tirando e un po' trattenendo per non andare fuori tempo. "Da noi porta male", spiegai.

Yussuf mi guardò storto, con gli occhi di chi rimprovera e insieme compatisce. Aveva ben altre superstizioni, credeva nella fortuna e nello stesso tempo pensava immutabili i destini e le circostanze, come fossero state scritte in mano ad ognuno prima di nascere. "E anche nelle stelle, se le sai osservare". Io ero di un'altra religione: di quelle senza santi, nè calendari, il mio Dio si chiamava "giornopergiorno" e a dirla tutta non avevo nemmeno grandi desideri: mi bastava cucire tra loro pranzo e cena, o alla peggio almeno uno dei due, lavoricchiando qua e là, ignaro di futuro e certezze come ormai eravamo ridotti ad essere in molti alla mia età. Avevo venticinque anni e mi sembrava di aver vissuto il doppio, ma temevo di non poter arrivare ai miei quaranta effettivi, in mancanza di una qualche rivoluzione, di un rinsavire dell'economia o di una grossa vincita alle lotterie. Non credevo già più in niente e in nessuno e in questo eravamo appunto in tanti.

"Cinque, quattro, tre…" le ragazze ridevano a forza, Irina invece guardava il fondo del suo bicchiere come a cercare risposte. Lo alzò in controluce e pareva vedesse sangue, come le era accaduto di vederne a Grosny. Di lei sapevo solo che era viva per miracolo, ma non lo erano i suoi. Così era fuggita non so come, aveva vent’anni e ne dimostrava sedici, ma la sua anima ne aveva vissuti centinaia.

"Due, uno…" e stavamo per dare fuoco alle polveri di una finta esultanza, nel sacro rito del "così va il mondo ed è così deve continuare ad andare".

Lo zero non arrivò: si fermarono orologi e antiche clessidre, l'istante tappò le bocche ai vulcani e fermò pallottole, missili e imperterrite trivelle.

Restarono a mezz'aria i delfini nei loro tuffi, come gli spruzzi dei cetacei e i fumi delle ciminiere.

I fuochi d'artificio si stamparono in cielo e si fecero costellazione, ammutolirono come ammutolivano in quel preciso istante i cannoni e le mitraglie.

Caddero muri antichi di prigioni e confini, si aprivano strade da costa a costa di ogni fottuto mare e le acque si ritirarono per far largo a folle di gente: alcuni andavano, alcuni venivano, a seconda di come ognuno preferiva.

Molti cani trovarono la strada di casa, molte mani si stringevano fraterne, molti cuori fermi riprendevano a battere.

"Ehi, Tommaso…"!

Vidi anche i denti bianchissimi dei fiorai brillare e occhi di gatti scintillare di gioia come diamanti nella notte, vidi montagne di denaro bruciare per scaldare i povericristi e vidi piovere acqua venuta a benedire i deserti. Anche il mio. L'ultima visione fu il muro immenso di uno tsunami: era l'inondazione di una improvvisa ed eterna pace, venuta a benedire finalmente il mondo.

"Ehi, Tommaso…". Mi scuotevano in tanti, mi chiamavano a gran voce, alcuni piangevano e vidi Irina di nuovo, guardare il suo bicchiere in controluce, stavolta pieno di acqua limpida. Sorrise come a dire arrivederci oppure addio: sapeva della morte più di ogni altro vivo che conoscessi.

Un pezzo alla volta mi risvegliai in ospedale: dissero fu un semplice calo di zuccheri, ma io lo chiamo lo schiaffo di Dio, un amichevole richiamo ad altra vita passato attraverso la morte apparente di un mancamento.


Sono passate ore, gli orologi non si erano mai fermati e nemmeno le mitraglie, le ciminiere e i cannoni.

Il Mediterraneo resta chiuso e impenetrabile ai disperati del mondo e le trivelle ancora strappano il cuore alla terra.

I muri sono ancora tutti in piedi, ma si lavora notte e giorno a costruirne di nuovi.


Io infine torno a casa camminando leggero e ubriaco di pensieri e di altra vita: è l’alba e cerco non solo le strade, ma anche i compagni di strada e da oggi vivo i sogni che avevo lasciato alle stelle.


L'ultimo capodanno del mondo forse è più vicino, ma io

ora non ne ho più paura.



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