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Vale la penna

LA PRIMA VOLTA A CASA DI MIA SUOCERA: LA CARBONARA


Avevo poco più di venti anni. La mia donna era della provincia di Torino. Partimmo da Roma in macchina. Sette ore. Scesi dall’auto senza culo.

Entrai in casa e trovai mio suocero e mio cognato con la sciarpa della Juve al collo, cazzo. Iniziamo male pensai. Davo del “Lei” alla mamma e al papà della mia ragazza. Loro parlavano in dialetto e io non capivo una beata mazza. Sorridevo come un idiota. Sapevo solo il significato di “Cadrega” dagli sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo, ma era milanese. Aspettavo che dicessero cadrega, ma non lo dissero.

La mia donna si avvicinò:

“Tutto bene?”

“Fa freddo.”

“Ma è agosto.”

“Ci sono 10 gradi!”

“goditeli, dopo ferragosto si abbassano le temperature.”

Uscii fuori al balcone a fumare.

Rientrai e mia suocera disse qualcosa a proposito del fumo. Capii solo sigarette. Presi il pacchetto gliene offrii una. Mi guardò male e andò in cucina.

“Ha detto che fumare fa male.” Disse prontamente la mia donna.

Ho lasciato mia madre a seicento chilometri di distanza per trovarne un’altra?

“Come va la Roma quest’anno?” La simpatia di mio cognato.

“Come sempre.”

Ero nervoso. Non lo ero mai stato. Nemmeno all’esame di maturità. A casa dei miei suoceri ero inerme, non capivo cosa dicessero, perché portavano quelle sciarpe al collo e non in bagno vicino al bidet? Perché c’erano 10 gradi il 2 di agosto? Perché le mie chiappe ancora non si erano gonfiate dopo il viaggio, sarà l’altitudine?

“Mi vò a piar lu vin.” Cavolo, questa l’avevo capita. È una lingua universale. Mio suocero, sciarpa a parte, mi stava diventando simpatico.

“Mia madre ha detto che prepara la Carbonara.”

“Dille di non disturbarsi, mangio quello che c’è. Non è necessario.”

“Non ti preoccupare, lei è felice.”

Accidenti. Era partita male, ma forse la piega delle mie chiappe aveva assunto un altro verso.

“Questi cosa sono?” Domandai dopo che la tavola fosse apparecchiata.

“Grissini!”

“Ah.” (Meglio tenere la bocca chiusa G.C. Nigres, mangia e non dire una parola.)

Mangiai gli antipasti con gusto. Ci prendeva mia suocera in cucina. Affettati mai mangiati, acciughe al verde, al rosso, acciughe senza. Cavolo, le mie chiappe si gonfiavano a dismisura. La Bonarda scendeva e iniziai a capire quello che dicevano.

“Ecco la Carbonara!” disse mia suocera portando una terrina piena di pasta sul tavolo.

Guardai la terrina. Guardai la mia donna. Guardai il vuoto.

Mia suocera guardava me con un sorriso. Presi il bicchiere di Bonarda e bevvi d’un fiato.

“L’aspetto è invitante.” Dissi con le lacrime agli occhi.

“Perché piangi?” domandò la mia donna.

“Nulla, mi è entrato uno schizzo di Bonarda negli occhi.” Merda: mezze penne lisce con panna e pancetta?

Riempii il piatto e mangiai. Ogni boccone divenne un sogno infranto: Quando da bambino volevo il pallone di cuoio e mi regalarono il Super Santos, quando volevo la BMX e mi diedero la Graziella di mia cugina, quando volevo baciare Sara ma mi disse che le facevo schifo.

Mangiai tutto, ma la Bonarda fece fatica a scendere.

“Tutto bene amore?” Domandò la mia donna vedendomi col viso affranto.

“Cazzo. No. Non ci sto. La mia pazienza ha un limite. Senza offesa per tua madre. Ma questa non è Carbonara!” Mi alzai dalla tavola. Mi accesi una sigaretta e continuai a mettermi in imbarazzo: “ Cara signora, chiamiamo le cose col loro nome, la carbonara si fa con guanciale e uova, no con panna e pancetta! Ma la panna la vendono ancora al supermercato? Cavolo, mi stavo quasi sentendo a casa, il mio culo aveva iniziato a prendere forma. Mi stavano bene anche le sciarpe di suo marito e di suo figlio. Ma questa non è Carbonara!”. Uscii fuori al balcone. Forse avevo esagerato.

Tornai al tavolo. Mio suocero si era messo la sciarpa sulla fronte con un nodo dietro la nuca.

“Scusatemi, non reggo la Bonarda.”

“Vò a piglià il Barolo?”

“Sì, grazie.”

Entrai in cucina e chiesi scusa a mia suocera. Sorrise.

“Signora prepari quello che sa!”

“Ok.”

“Preparò dei Plin al ragù da leccarsi i baffi.

Finì la cena. Ruttai. E andai a dormire felice.

Nei vent’anni successivi mia suocera non ha più preparato la Carbonara.

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